kandinskyana 2019


fine art ink-jet print, cm 100X70 / 60×40

 

Passeggiata con il Cavaliere Azzurro
di Paola Mongelli

L’occhio aperto e l’orecchio vigile trasformano le più piccole scosse in grandi esperienze. Come esploratori che si addentrano in paesi nuovi e sconosciuti, noi facciamo scoperte nel mondo quotidiano, e il nostro ambiente, altrimenti muto, comincia a parlare in un linguaggio sempre più chiaro. Così i segni morti diventano simboli viventi, e ciò che è morto diventa vivo.
Così scriveva Vassily Kandinsky nel 1926.

Ho letto Punto linea superficie e Lo spirituale nell’arte a 20 anni, sono stati i primi testi che hanno nutrito gli anni giovanili della mia formazione. Le teorie di questo grande artista sull’arte e sulla composizione hanno un valore mistico e spirituale, ancor più che estetico. Solo oggi mi rendo conto di quanto il suo pensiero sull’arte e sulla vita mi abbia profondamente segnata.

È stato grazie al mare che ho avuto l’occasione di ritrovarmi immersa in questa dimensione, passeggiando su una spiaggia bretone in un pomeriggio d’inverno…
Erano gli ultimi giorni dell’anno, l’aria era velata e gelida. Sotto i miei passi, forme e segni lucenti erano disseminati sopra un immenso tappeto di sabbia, reperti ancora umidi che il mare aveva da poco abbandonato.
All’improvviso il cielo e il mare, così presenti fino a un momento prima, sembrano scomparire ai miei occhi, e in quell’istante sento forte un richiamo… ho come la sensazione di essere presa per mano da un cavaliere misterioso arrivato da molto lontano, che mi invita a dipingere. Tiro fuori la mia fotocamera e inizio a comporre quadri.
Sospesa tra astrazione e concretezza mi metto a ritagliare, attraverso la cornice dell’inquadratura, frammenti rigorosi che scompongono, nella mia percezione, l’unità di quella distesa smisurata. Non tocco e non altero nulla, non c’è niente da migliorare quando la natura offre il suo spettacolo.
Smetto di pensare, e una voce raggiunge il mio orecchio per sussurrarmi: “sono le configurazioni date agli elementi, non gli elementi stessi, a conferire tensione ed energia trasformando la realtà inerte in pulsione vitale… quando crei delle relazioni all’interno del campo, nascono quelle vibrazioni interne che fanno palpitare la materia di colore e forma… è nell’esperienza della visione che la realtà si anima, è il nostro sguardo a dare un senso al mondo.

Il mare mi ha regalato la possibilità di rendere omaggio a Kandinsky attraverso questa serie di fotografie. Ringrazio questo maestro per avermi insegnato a non separare il materiale dall’immateriale, a percepire il sacro nell’ordinario. Mi ha permesso di assorbire un po’ di quella sensibilità orientale, che riconosce nel carattere instabile e transitorio di ogni cosa che esiste, la vera bellezza e la vera ricchezza della vita.

E se, come dice Aristotele, l’anima è la forma del corpo, ci si può smarrire riflettendo sul senso della visione, sulla dicotomia forma/contenuto, sui legami tra essenza ed apparenza. Con il rischio di innamorarsi di ogni istante del film della vita… e in questo la fotografia è il complice ideale!

 

Paola Mongelli

novembre 2019

 

Paola Mongelli: kandinskijana

di Gabriele Perretta

Senza il mare, la sabbia è perfetta, ma di una perfezione astratta. Allo stesso modo l’idea di un passaggio fotografico si poggia su un sistema segnico – come può esserlo una dunetta della spiaggia – per poi superarlo. Come dire fotografia e visione concreta, dettaglio naturale nella logica costruita. Ma il marchio, la traccia concreta del paesaggio, non è più solo un codice semantico applicato.

È la fotograficità che esprime la cultura artistica, sia di chi lo realizza che di chi lo osserva. Se penso che il marchio espressivo delle foto di Paola Mongelli è un particolare caso di concrezione fotografica, che aggiorna i suoi tagli (concreto= astratto/astratto = concreto) in base alla ripresa sulla sabbia, trovo che essa rappresenti perfettamente il vedere flessibile e disomogeneo dello sguardo fotografico contemporaneo. I luoghi di questo sguardo, tuttavia, appaiono spesso oscurati dalla moltiplicazione di canali informazionali dell’immagine, sempre più associati a forme espressive senza contenuto.

La ricerca di Paola Mongelli sembra che sia stata concepita proprio per contrastare tale tendenza e per fornire, al contempo, un luogo specifico alle varie “attenzioni” (attanziali), che nell’elaborazione fotografica ritrovano la loro dimensione privilegiata. Il ruolo specifico della fotografia che qui si vuole salvaguardare, consiste nel mettere a fuoco quei momenti dell’elaborazione degli strumenti concettuali, indagando le relazioni tra astratto e concreto, studium e punctum, connotazione e denotazione dell’immagine.

Questa esigenza non può essere soddisfatta, se la ricerca fotografica viene omologata a una delle molteplici forme espressive della visualità di consumo! Non si intende, con ciò, rivendicare una sorta di autonomia del fotografico. Si è invece consapevoli del fatto che la fotografia artistica nasce dall’estrinsecarsi di prassi e testualità molteplici ed eterogenee, che vanno continuamente rimodulate. In contrasto con chi, esplicitamente o meno, propone una dissoluzione dello “sguardo fotografico” dei new media o della foto realistica tout court, Paola Mongelli – attraverso questo lavoro riferito a Kandinskij – intende ribadire la contestualità delle nozioni di astratto/concreto, nonché la specificità necessaria dello sguardo fotografico. Proprio per questo, la sua fotografia è stata eseguita con un “obiettivo a sintesi” che, quando l’immagine è a fuoco, ingrandisce i punti di sabbia e gli oggetti e li consegna allo sguardo del fruitore in un compendio kandinskijano! È un’immagine che parla di sé e contemporaneamente dell’oggetto rappresentato, del quale rivela reperti analogici e che si possono guardare, appunto, come grana cromatica infinita. Le conchiglie serbano un segreto e nulla sappiamo di chi le abita: conservano la magia dell’equazione matematica, mantenendo costante il rapporto tra reperto e dettaglio marino e perpetuando all’infinito la propria forma.

Proviamo a comparare l’alfabeto naturale di Paola Mongelli, con la traduzione fotografica del mondo marino degli Ossi di Seppia! Fotografie rettangolari ricche di resti insabbiati, che si srotolano allo sguardo e si addentrano tra conchiglie e sassi, legnetti e materiali bruciati dal tempo. La cosa che colpisce, dentro queste forme geometriche elementari purissime, è l’universo naturale ed analogico che esse rappresentano: la dimensione cosmica che V.V. Kandinskij evidentemente racchiudeva in uno spazio, in un taglio, in uno sguardo volutamente equilibrato, mentale e contemporaneamente tangibile.

La logica strutturale dei residui sabbiosi degli oggetti che diventano sintesi: punto, linea e superficie (1925). Il pensiero di Kandinskij è intriso dell’intuizionismo bergsoniano ed è pronunciato con un linguaggio spiritualista (vedi Lo spirituale nell’arte, 1910), che l’autore espone anche nei suoi scritti, quando parla di necessità interiore. Il problema che si presenta alla fotografia concreta, dopo la riflessione di Kandinskij, è se la forma e il colore e se gli oggetti ritrovati nello spazio della vita quotidiana e del paesaggio sociale, liberi da ogni impegno di rappresentazione, possano articolarsi in un linguaggio simbolico (o semisimbolico). Un semplice lembo di sabbia, un sintetico oggetto della natura, due o tre elementi “ritrovati”, possono servire molto bene a verificare la validità dei risultati raggiunti nelle passeggiate di una fotografa.